untitled design (1)

Learn Italian online

Search

The Amendments to the Constitution of Italy – A Simple Guide

Trying to figure out whether or not the amendments to the constitution proposed by the government of Prime Minister Matteo Renzi will be good or bad for Italy is not at all easy.

The proposed amendments to the constitution are to be put to the country via a referendum currently scheduled for December 4th 2016, although that date may change. Some are disputing the wording the referendum voting cards and whether or not the contested wording will need to be changed or not is not yet clear. If it has to be, then the referendum date may well change.

Regardless of the wording of the referendum voting cards, the amendments to the constitution are not too easy for common mortals to comprehend. Well, thanks to one of my English language students, General Counsel of Zurich Insurance group, Italy, Silvana Valanzio, I’ve managed to unearth a document in Italian that explains the constitutional reforms and how they might affect the running and more crucially, the future of Italy.

Entitled “Guida semplice alla riforma costituzionale” – A Simple Guide to the constitutional reform – the document is the clearest, most objective analysis of the proposed reforms I have come across so far.

In a nutshell, the conclusion of the analysis is that the amendments to the constitution of Italy, while not perfect, are worthwhile for the long term future of the nation. The point is also made that if the reform is not approved, it will be many years before another reform will come about.

In my opinion, this document should be read by all Italians and anyone else who knows Italian and has an interest in Italy. To this end, I’ve decided to republish it, in Italian, in its entirety.

With the reforms be approved by Italians in December? Currently, polls indicate they will not.

Take a deep breath, it’s a long read.

Guida semplice alla riforma costituzionale

By Assonime, the Association of the Italian joint stock companies.

Sintesi

Nel dibattito sulla riforma costituzionale, che sarà a breve sottoposta a referendum, prevalgono spesso motivazioni politiche di breve periodo – a sostegno o meno del governo in carica. Per le modifiche della Costituzione si deve adottare una prospettiva diversa, più lungimirante. La Costituzione fornisce il quadro istituzionale fondamentale per il funzionamento della democrazia, l’effettiva salvaguardia dei diritti dei cittadini, per lo sviluppo dell’impresa e per il lavoro.

L’obiettivo di questa guida alla riforma costituzionale è quello di illustrare con un linguaggio semplice le ragioni della proposta di modifica della seconda parte della Costituzione, le questioni in gioco e le implicazioni della riforma, per aiutare i lettori a raggiungere consapevolmente le proprie valutazioni.

A fronte della difficile situazione economica, della crisi europea, delle tensioni internazionali e delle nuove minacce alla sicurezza, occorre chiedersi se l’interesse dell’Italia sia meglio difeso mantenendo l’attuale testo della Costituzione (in particolare, bicameralismo indifferenziato e frammentazione delle competenze legislative) oppure dalla nuova legge costituzionale. Sicuramente la riforma non è, da sola, sufficiente a risolvere tutti i problemi del Paese.

Sicuramente alcune formulazioni avrebbero potuto essere più chiare. Sul piano sostanziale, alcune scelte lasciano perplessi, tra esse certamente quella di non toccare le prerogative delle Regioni a statuto speciale nel riparto delle competenze legislative. Nel complesso, però, la riforma elimina alcune chiare inefficienze degli attuali assetti istituzionali che pregiudicano la capacità di decidere e contribuiscono alla sfiducia dei cittadini, aumenta la governabilità e consente un più efficace funzionamento delle istituzioni. E’ indubbio che, nel caso in cui la riforma approvata dal Parlamento venisse bloccata dal referendum, per una nuova riforma della Costituzione basata su un testo diverso ci vorrebbero molti anni.

Sommario

1. Il referendum per confermare o rigettare la riforma

2. Quali disposizioni della Costituzione vengono modificate

3. Il passaggio dal bicameralismo perfetto al bicameralismo differenziato

4. Composizione ed elezione del Senato

5. Rapporti tra riforma costituzionale e legge elettorale per la Camera

6. Altre novità per la funzione legislativa

6.1 Iniziativa legislativa

6.2 Referendum propositivi e abrogativi

6.3 Voto a data certa e limiti alla decretazione d’urgenza

6.4 Diritti delle minoranze parlamentari e statuto delle opposizioni

7. Revisione del Titolo V e ridisegno del regionalismo

7.1 Riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni

7.2 Il potere di adottare regolamenti

7.3 Regioni a cui sono attribuiti maggiori spazi di autonomia

7.4 Autonomia e gestione finanziaria degli enti territoriali

7.5 Soppressione del riferimento costituzionale alle Province

7.6 Regioni a statuto speciale 16 8. Pubblica amministrazione e costi della politica

8.1 Trasparenza della pubblica amministrazione

8.2 CNEL

8.3 Accorpamento dei servizi di Camera e Senato

9. I criteri per valutare la riforma

Riferimenti ad alcuni contributi al dibattito 18

Introduzione

La nostra Costituzione è ancora pienamente attuale sia nei principi fondamentali che nelle disposizioni sui diritti e doveri dei cittadini contenute nella sua prima parte. Alcune previsioni della seconda parte della Costituzione, relative all’ordinamento della Repubblica, invece non sembrano più aderenti alle esigenze di una democrazia ben funzionante, in un contesto economico, sociale e politico, italiano e internazionale che è molto cambiato rispetto all’epoca nella quale la Costituzione fu scritta.

Le principali criticità riguardano il Titolo V, che regola i rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali, e il sistema del bicameralismo indifferenziato, in cui la Camera dei deputati e il Senato svolgono sostanzialmente le stesse funzioni.

Il Titolo V è stato modificato dalla riforma costituzionale del 2001, con l’obiettivo di valorizzare i ruoli complementari dei vari livelli di governo (centrale, regionale e locale) e responsabilizzare le amministrazioni nella gestione finanziaria. Ma sotto diversi profili le aspettative sono state deluse. In particolare, per quanto riguarda l’adozione delle leggi, da oltre dieci anni è chiaro che l’attuale articolo 117 della Costituzione ripartisce in modo confuso e inefficace la competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni. Fermo restando che esistono ambiti in cui è corretto che il potere legislativo sia esercitato a livello regionale, vi sono materie (quali quelle delle reti nazionali del trasporto, dell’energia e delle comunicazioni o la protezione civile) per le quali un quadro normativo frammentato tra le diverse aree del territorio nazionale crea inefficienze e costi ingiustificati. Per queste materie, l’attuale articolo 117 della Costituzione preclude al Parlamento di definire un quadro normativo unitario in grado di promuovere la crescita economica e di tutelare in modo efficace i diritti dei cittadini. Inoltre, l’articolo 117 è stato fonte di un diffuso contenzioso tra Stato e Regioni: un Paese in cui dalla riforma del 2001 la Corte costituzionale ha dovuto adottare circa 1800 pronunce sulla ripartizione delle competenze legislative sicuramente sta perdendo tempo e risorse che potrebbero essere impiegati più utilmente.

Il modello del bicameralismo indifferenziato che caratterizza il nostro sistema parlamentare è problematico sia sul fronte della governabilità, sia per quanto riguarda l’efficiente funzionamento del processo legislativo. Per il primo aspetto, la circostanza che sia la Camera dei deputati che il Senato abbiano la funzione di esprimere la fiducia al governo ha contribuito a un’elevata instabilità, rendendo difficile portare a termine programmi di legislatura. In Italia, dall’istituzione della Repubblica vi sono stati ben 63 governi, con una durata media di poco superiore a un anno. L’instabilità è diminuita con l’evoluzione del sistema elettorale in direzione maggioritaria, ma la possibilità di maggioranze diverse tra Camera e Senato ha complicato e indebolito l’azione di chi doveva governare. Per quanto attiene al processo legislativo, la necessità del doppio passaggio alla Camera e al Senato rallenta notevolmente l’approvazione delle leggi. Per ovviare a questo problema, la risposta dei governi è stato il ricorso, spesso improprio e con compressione delle prerogative del Parlamento, alla decretazione d’urgenza. In sede di conversione in legge, i decreti si sono spesso appesantiti di contenuti non pertinenti e la pratica dei maxi-emendamenti ha svilito la funzione del Parlamento. Si è così venuto a creare un sistema in cui le decisioni sono frenate da complicati compromessi e la capacità delle istituzioni di rispondere alle esigenze dei cittadini si è indebolita.

I problemi in Italia certamente non derivano solo dal quadro costituzionale. Pesa anche la diffusione di atteggiamenti di conflittualità esasperata e la scarsa disponibilità a un dialogo costruttivo in tutti gli ambiti (tra livelli di governo, tra le forze politiche, all’interno delle forze politiche). Pesa, inoltre, la circostanza che le pubbliche amministrazioni talora operino in modo autoreferenziale, invece che al servizio della collettività. In questo contesto è maturato tra i cittadini un senso di sfiducia e di distacco dalle istituzioni.

Oggi viviamo in un momento critico, sia sul piano economico che su quello della politica internazionale. Per l’economia, le difficoltà di crescita e la fragilità finanziaria che ancora ci attanaglia richiedono un sistema istituzionale capace di decidere più rapidamente e più efficacemente, per creare un contesto più favorevole all’impresa e al lavoro. Per aumentare la crescita potenziale dell’economia non sono sufficienti gli interventi di politica monetaria: occorre un’azione complementare della politica pubblica. In una prospettiva più generale, decisioni difficili devono inoltre essere affrontate per superare la crisi di consenso delle istituzioni europee e gestire le grandi questioni dell’immigrazione, della tutela dell’ambiente, della sicurezza e dell’antiterrorismo.

Su questi temi, attualmente molte delle decisioni fondamentali per i cittadini sono adottate a livello europeo o comunque sovranazionale. L’Italia può essere in grado di incidere su queste decisioni, preservando e consolidando i valori della democrazia riconosciuti dalla nostra Costituzione, solo se a livello nazionale l’assetto delle istituzioni riesce ad esprimere posizioni chiare, non indebolite da una patologica precarietà.

Se il senso di sfiducia dei cittadini nelle istituzioni si traduce nella rinuncia a reagire e a sostenere i necessari sforzi di riforma, l’Italia è condannata inesorabilmente al declino. Questa deriva potrebbe mettere a rischio anche i valori fondamentali della nostra democrazia.

La riforma costituzionale, che è stata approvata dal Parlamento e che sarà a breve oggetto di un referendum popolare, mira ad affrontare alcune criticità (certamente non tutte) dell’attuale sistema utilizzando gli strumenti di revisione espressamente previsti dalla stessa Costituzione.

Sulla riforma si è sviluppato un ampio dibattito, che ha posto in evidenza sia i pregi sia le debolezze della legge costituzionale sottoposta alla consultazione popolare. Troppo spesso, tuttavia, le posizioni del mondo politico paiono riflettere obiettivi di breve periodo (pro o contro l’attuale governo), più che questioni sostanziali. Molti contributi, inoltre, sono espressi in un linguaggio per addetti ai lavori, risultando difficilmente fruibili dalla generalità dei cittadini. L’obiettivo di questa guida alla riforma costituzionale è quello di illustrare con un linguaggio semplice le ragioni della proposta di modifica della seconda parte della Costituzione, le questioni in gioco e le implicazioni della riforma, per aiutare i lettori a raggiungere consapevolmente le proprie valutazioni.

1. Il referendum per confermare o rigettare la riforma

Nel referendum gli elettori dovranno decidere se confermare (votando sì) o rigettare (votando no) le modifiche di alcune disposizioni della Costituzione italiana previste da una legge costituzionale approvata dal Parlamento e pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 15 aprile 2016, n. 88. Il quesito a cui gli elettori dovranno rispondere è il seguente:

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?

E’ utile ricordare che i lavori parlamentari che hanno portato all’adozione della legge costituzionale sottoposta a referendum sono iniziati nell’aprile 2014 con un disegno di legge presentato dal Governo al Parlamento (A.S. 1429, A.C. 2613). Rispetto alla versione iniziale, la Camera e il Senato hanno apportato numerose modifiche.

Il testo definitivo, secondo la procedura prevista per le modifiche costituzionali dall’articolo 138 della Costituzione, è stato approvato in doppia lettura dalla Camera e dal Senato, con una maggioranza superiore al 50 per cento (alla Camera, 58% nella prima votazione e 57% nella seconda; al Senato, 56% nella prima votazione e 57% nella seconda).

La Costituzione prevede che, quando nella seconda votazione non sia stata raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti sia nella Camera che nel Senato (come in questo caso), la legge costituzionale possa essere sottoposta a referendum popolare, su richiesta di un quinto dei membri della Camera o del Senato, oppure di 500.000 elettori, o di cinque Consigli regionali.

La richiesta di referendum sulla legge costituzionale approvata dal Parlamento è stata presentata, in conformità all’articolo 138 della Costituzione, sia da componenti della Camera dei deputati e del Senato, sia dal prescritto numero di elettori (firme raccolte da un Comitato di sostenitori della riforma).

2. Quali disposizioni della Costituzione vengono modificate

Gran parte della Costituzione non è oggetto di riforma da parte della legge costituzionale. In particolare, non è in discussione alcun cambiamento delle disposizioni introduttive relative ai principi fondamentali (articoli 1-12) e della prima parte della Costituzione sui diritti e i doveri dei cittadini (articoli 13-54). Sono questi gli articoli a cui si fa normalmente riferimento quando si loda la qualità della nostra Costituzione.

Le modifiche previste dalla legge costituzionale riguardano la seconda parte della Costituzione, relativa all’ordinamento della Repubblica, che disciplina gli assetti istituzionali funzionali a realizzare una società libera, prospera e giusta fondata sulla democrazia.

Rispetto a questa seconda parte della Costituzione, gli stessi estensori del testo del 1947 erano consapevoli che il sistema avrebbe potuto essere in parte ripensato. A partire dal 1963, ben dodici leggi costituzionali hanno introdotto modifiche, alcune più specifiche, altre di più vasta portata, tra cui in particolare la riforma del Titolo V sui rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali nel 2001.

Rispetto alle modifiche precedenti, l’attuale riforma tocca un numero più ampio di articoli (44 disposizioni, a fronte delle 15 disposizioni modificate dalla riforma del Titolo V nel 2001). Molte delle modifiche, tuttavia, sono la mera conseguenza di pochi cambiamenti sostanziali.

I cambiamenti sostanziali riguardano:

a. il superamento del bicameralismo indifferenziato;

b. l’attribuzione al Senato del compito di rappresentare gli enti territoriali;

c. l’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di esprimere la fiducia nei confronti del Governo, in modo da rafforzare la governabilità;

d. alcune modifiche relative all’esercizio della funzione legislativa, volte a disciplinare in modo più rigoroso (e dunque a limitare) il ricorso ai decreti legge, prevedendo al tempo stesso che disegni di legge ritenuti di particolare rilievo per il programma di governo vengano esaminati entro termini certi e ragionevolmente brevi (“voto a data certa”);

e. il ridisegno dei rapporti tra Stato e Regioni delineato dal Titolo V, con particolare riferimento all’attribuzione delle competenze legislative;

f. l’eliminazione del riferimento alle Province;

g. la riduzione del numero dei senatori;

h. l’abolizione del CNEL;

i. la razionalizzazione e una maggiore integrazione delle strutture amministrative di Camera e Senato, eliminando le duplicazioni.

3. Il passaggio dal bicameralismo perfetto al bicameralismo differenziato

La scelta del sistema parlamentare basato sul bicameralismo indifferenziato, compiuta dagli estensori della Costituzione nel 1947, è stata il risultato di un compromesso politico volto a garantire che il funzionamento del Parlamento, nella situazione di forte contrapposizione tra DC e PCI all’epoca della guerra fredda, fosse disegnato in modo da frenare il potere delle maggioranze.

All’epoca il sistema decisionale era profondamente diverso rispetto ad oggi e non vi erano, in particolare, molte delle attuali garanzie che pongono un argine al potere delle maggioranze. Ad esempio, la normativa era adottata solo dallo Stato, mentre ora molte norme sono adottate dalle Regioni e dall’Unione europea. Inoltre, sino al 1955 non era operativa la Corte costituzionale, che vaglia la compatibilità delle leggi con la Costituzione e costituisce quindi un presidio fondamentale rispetto all’esercizio dell’azione legislativa.

L’attuale riforma propone il superamento del bicameralismo indifferenziato, caratterizzato dalla sostanziale identità tra le funzioni dei due rami del Parlamento sia nell’esercizio della funzione legislativa che per quanto riguarda la titolarità del rapporto di fiducia nei confronti del Governo. Gli obiettivi principali della riforma sono quelli di aumentare la governabilità, velocizzare il processo legislativo e attribuire al Senato il ruolo specifico di rappresentanza degli enti territoriali.

Il sistema politico resta un sistema parlamentare bicamerale. Non si passa quindi a un sistema presidenziale come quello statunitense o semi presidenziale come quello francese. A differenza della riforma del 2005 bocciata dal referendum del 2006, la riforma attuale non aumenta i poteri del Presidente del Consiglio rispetto al Parlamento. Non si passa nemmeno a un sistema monocamerale, come pure alcuni avevano auspicato. I rami del Parlamento restano due (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica), ma svolgeranno funzioni diverse tra loro. Il nuovo modello è quello del bicameralismo differenziato o “asimmetrico”, come previsto per esempio in Germania, Regno Unito e Spagna.

Nel nuovo sistema, la funzione di fornire indirizzi politici ed esprimere la fiducia sul programma di governo viene riservata alla Camera dei deputati. Questa disposizione – la misura principale tesa a migliorare la governabilità — allinea il nostro ordinamento a quelli dei principali sistemi parlamentari.

Il Senato assume la funzione di rappresentare le istituzioni territoriali, ossia Regioni, Comuni e Città metropolitane e ha il compito di assicurare il raccordo tra esse e lo Stato. Sinora questo compito era stato affidato al sistema delle conferenze (Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Stato-Città, Conferenza unificata), che non hanno rilievo costituzionale. Mentre le conferenze continueranno ad assicurare il coordinamento fra gli esecutivi, il nuovo ruolo del Senato mira ad assicurare una partecipazione delle istituzioni territoriali alla formazione delle decisioni legislative.

Il superamento del bicameralismo indifferenziato si riflette sull’esercizio della funzione legislativa.

Solo per alcuni tipi di leggi l’esercizio della funzione legislativa spetta, come avviene oggi, ad entrambi i rami del Parlamento (procedimento bicamerale): in particolare, le leggi costituzionali, le leggi sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle politiche europee, le leggi sull’elezione del Senato e quelle che incidono direttamente sull’ordinamento di Regioni, Comuni e Città metropolitane.

think in italian logo dark bg 1

Stop reading, start speaking

Stop translating in your head and start speaking Italian for real with the only audio course that prompt you to speak.

Per tutte le altre leggi, la funzione legislativa spetta alla sola Camera dei Deputati (procedimento monocamerale). I disegni di legge all’esame della Camera vengono comunque trasmessi al Senato, che ha la possibilità di proporre modifiche, ma solo se entro dieci giorni lo richiede un terzo dei senatori e lo delibera la maggioranza. Dunque, gran parte delle leggi potranno essere promulgate e pubblicate l’undicesimo giorno successivo all’approvazione da parte della sola Camera.

Le leggi che incidono in modo particolare sui rapporti tra Stato e enti territoriali (leggi a tutela dell’unità economica e giuridica della Repubblica o a tutela dell’interesse nazionale, in cui si deroga alla competenza legislativa delle Regioni) sono approvate dalla Camera dei deputati, ma il ruolo del Senato è rinforzato: solo approvando la legge a maggioranza assoluta la Camera dei deputati può decidere di non conformarsi a modifiche proposte dal Senato con maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Nel merito, il superamento del bicameralismo indifferenziato comporta un’accelerazione dell’iter legislativo, rispetto al sistema attuale che richiede per tutte le leggi l’approvazione da parte di entrambi i rami del Parlamento.

E’ stato obiettato che la riforma prevede una pluralità di procedimenti legislativi (procedimenti monocamerali, bicamerali, monocamerali con ruolo rafforzato del Senato) e che ciò aumenta la complessità del sistema. Questa caratteristica si presenta anche in altri ordinamenti bicamerali e dovrà essere gestita; comunque, le leggi per le quali il procedimento è diverso dal procedimento monocamerale sono una piccola parte della produzione legislativa.

Al Senato è attribuita anche la nuova funzione di valutare le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni. Il Senato è tenuto in particolare a verificare l’impatto delle politiche europee sui territori e l’attuazione delle leggi dello Stato. In Italia sinora la dimensione attuativa delle politiche pubbliche è stata poco considerata, una maggiore attenzione da parte del Parlamento attraverso un impegno ad hoc del Senato può rappresentare una svolta positiva.

Per quanto riguarda i tempi per il passaggio al bicameralismo differenziato, la riforma prevede che il nuovo sistema si applicherà dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambi i rami del Parlamento.

4. Composizione e elezione del Senato

La riforma costituzionale incide sul Senato, prevedendone una diversa composizione e una nuova modalità di elezione.

Il numero dei senatori, che oggi è di 315 componenti, viene sensibilmente ridotto: vi saranno 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali.

Cinque senatori potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica tra “cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. I senatori che saranno nominati dal Presidente della Repubblica durano in carica sette anni (non a vita come previsto nell’attuale testo costituzionale) e non possono essere nuovamente nominati.

ll Senato diventa un organo a elezione indiretta. Questa novità, come altre caratteristiche del nuovo Senato, va considerata alla luce del suo nuovo ruolo di rappresentanza delle istituzioni territoriali. In questo contesto i novantacinque senatori non sono più eletti direttamente dai cittadini, attraverso le liste politiche, ma dai consigli regionali, che a loro volta sono eletti dai cittadini.

Questo consente, sia pure in via indiretta, di allargare la base elettorale per l’elezione del Senato: l’attuale Costituzione infatti esclude i giovani tra 18 e 25 anni (4 milioni di elettori) dalla partecipazione all’elezione dei senatori.

Ogni consiglio regionale dovrà eleggere un senatore tra i sindaci dei Comuni del territorio della Regione: vi saranno quindi ventuno senatori-sindaci. Gli altri senatori saranno eletti dai consigli regionali tra i propri componenti con metodo proporzionale “in conformità alle scelte espresse dagli elettori” in occasione del rinnovo del consiglio regionale.

A ciascuna Regione spetta, oltre la soglia minima di due senatori (che vale per tutte), un numero di seggi in proporzione alla popolazione, secondo l’ultimo censimento generale. A ciascuna delle province autonome di Trento e Bolzano spettano due senatori.

Una legge elettorale per il Senato, che sarà adottata dopo l’entrata in vigore della riforma e dovrà essere approvata sia dalla Camera che dal Senato, detterà una disciplina puntuale del nuovo sistema. Il contenuto di questa legge è ancora da definire (non si può fissare tutto in Costituzione) e andrà seguito con attenzione. Nella fase transitoria, in attesa della nuova legge elettorale, i componenti del Senato saranno nominati dai consigli regionali in carica.

I membri del Senato non saranno tutti rinnovati contestualmente: il Senato diventa un organo a rinnovo parziale “continuo”, in corrispondenza con le elezioni dei singoli consigli regionali. La durata del mandato dei senatori coincide con quella dei consigli regionali che li hanno eletti; in occasione delle elezioni regionali, i senatori nominati dalla regione interessata cessano dall’incarico e saranno sostituiti. Viene così attenuato il rapporto con il ciclo elettorale della Camera dei deputati.

Viene eliminato il requisito dei quarant’anni di età per l’eleggibilità a senatori.

La riforma comporta l’eliminazione di ogni riferimento in Costituzione all’indennità parlamentare per i senatori. Il motivo è che i nuovi senatori già ricevono un compenso in quanto consiglieri regionali e sindaci; la nomina a senatori comporta certamente un impegno, ma non si tratta di un lavoro a tempo pieno. Anche i senatori nominati dal Presidente della Repubblica non percepiranno indennità. Nulla esclude che vengano previsti rimborsi dei costi necessari per l’esercizio della funzione di senatore.

Una obiezione che è stata sollevata riguarda la difficoltà di svolgere al contempo la funzione di senatore e quella di consigliere regionale o sindaco. Il rilievo di questo problema dipende da come saranno organizzati in concreto i lavori del nuovo Senato (ad esempio concentrando le attività per le quali è necessaria la presenza in Aula in alcuni giorni della settimana).

Complessivamente, la riduzione del numero dei senatori e l’eliminazione delle indennità comporta minori costi di funzionamento del Senato.

5. Rapporti tra riforma costituzionale e legge elettorale per la Camera

Mentre, come si è visto, la riforma costituzionale interviene in modo incisivo sullla composizione e l’elezione del Senato, la Camera dei deputati non è interessata da modifiche; la durata della legislatura resta di cinque anni.

In particolare, la riforma non tocca la legge elettorale n. 52/2015 (il cosiddetto Italicum). E’ in corso un dibattito sull’opportunità di rivedere il contenuto di questa legge, che attribuisce un elevato premio di maggioranza (340 seggi su 630) alla lista che raggiunge al primo turno almeno il 40 per cento dei voti o vince al secondo turno in sede di ballottaggio. La questione, comunque, non è oggetto della consultazione referendaria.

Peraltro, anche per evitare che si riproponga la situazione che si è verificata nel 2014, quando la Corte costituzionale dichiarò illegittima ex-post una legge elettorale6 , la riforma costituzionale prevede che una minoranza dei parlamentari possa chiedere alla Corte costituzionale una pronuncia ex-ante sulla legittimità costituzionale delle leggi elettorali.

6. Altre novità per la funzione legislativa

6.1 Iniziativa legislativa La riforma non modifica la previsione della Costituzione che attribuisce l’iniziativa legislativa al Governo, a ciascun membro delle due Camere e agli organi ed enti ai quali sia stata conferita da legge costituzionale.

Viene invece aggiunta una previsione per assicurare che il Senato, deliberando a maggioranza assoluta dei suoi componenti, abbia il potere di richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un progetto di legge e di pronunciarsi entro sei mesi. L’obiettivo è assicurare una tempestiva attenzione alle istanze rilevanti per la camera rappresentativa degli enti territoriali.

Per le leggi di iniziativa popolare, che sono già previste dalla Costituzione, viene aumentato da cinquantamila a centocinquantamila il numero di firme necessario per la presentazione dei progetti di legge; al contempo viene espressamente prevista in Costituzione la garanzia che le proposte di legge di iniziativa popolare siano discusse e votate dal Parlamento nei tempi e alle condizioni stabilite dai regolamenti parlamentari.

All’obiezione circa l’innalzamento della soglia i sostenitori della riforma rispondono che, rispetto a quando la disposizione è stata introdotta, la popolazione italiana è aumentata (da 41 a 60 milioni) e che la modifica della soglia è più che compensata dalla garanzia di un’effettiva e tempestiva considerazione dei progetti di legge di iniziativa popolare da parte del Parlamento.

6.2 Referendum propositivi e abrogativi

Rispetto ai referendum popolari, sono apportate alcune innovazioni volte a potenziare le forme di democrazia diretta in un contesto in cui i cittadini spesso si sentono estranei alle istituzioni.

Anzitutto sono introdotti in Costituzione, in aggiunta ai referendum abrogativi già previsti (con cui può essere chiesta l’abrogazione totale o parziale di una legge), anche i referendum propositivi e di indirizzo, “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche”.

Per i referendum abrogativi, resta l’attuale regola in base alla quale il referendum viene indetto su richiesta di 500mila elettori o cinque Consigli regionali; la proposta soggetta a referendum è approvata se partecipa alla votazione la maggioranza degli aventi diritto ed è raggiunta la maggioranza dei voti espressi. In aggiunta, per rendere meno difficile il successo dei referendum abrogativi sostenuti da una parte rilevante dei cittadini, se la richiesta di referendum è presentata da almeno 800mila elettori, affinché il referendum sia valido non è più richiesto che partecipi alla votazione la maggioranza degli aventi diritto: è sufficiente la maggioranza degli elettori che hanno votato alle ultime elezioni della Camera dei deputati. Si riduce così la probabilità che i referendum abrogativi falliscano a causa delle astensioni.

Le regole sui referendum costituzionali, come quello che si svolgerà sulla legge di riforma qui analizzata, restano invariate. Non è previsto, in questi casi, un quorum, cioè una soglia minima di votanti: la legge sottoposta a referendum è promulgata se approvata dalla maggioranza dei voti validi.

6.3 Voto a data certa e limiti alla decretazione d’urgenza

La riforma prevede che il Governo possa indicare alla Camera che uno specifico disegno di legge è “essenziale per l’attuazione del programma di governo”; in questi casi, il disegno di legge deve essere iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla valutazione definitiva della Camera dei deputati entro settanta giorni dalla deliberazione; anche i termini per le proposte di modifica da parte del Senato sono ridotti. Sono previsti alcuni limitati margini per la proroga dei termini fino a un massimo di novanta giorni nel caso di provvedimenti complessi.

Questo istituto del “voto a data certa”, previsto da tempo in altri ordinamenti, viene introdotto nella Costituzione al fine di assicurare che, per questioni particolarmente urgenti ai fini dell’attuazione del programma di governo, i tempi di esame parlamentare dei disegni di legge rilevanti siano prestabiliti e sufficientemente contenuti.

La procedura del voto a data certa è comunque esclusa per tutte le leggi da approvare con procedimento bicamerale: le leggi in materia elettorale, quelle di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, le leggi di concessione dell’amnistia e dell’indulto e la legge sul contenuto della legge di bilancio, sulle norme fondamentali e i criteri per l’equilibrio di bilancio.

Diversamente da quanto previsto dalla versione iniziale del disegno di legge di riforma, quando viene richiesto il voto a data certa il Parlamento non è tenuto ad esprimere la propria valutazione sul testo indicato dal Governo: il testo che viene votato entro il termine può essere un testo cui sono stati apportati emendamenti.

Per ridurre l’utilizzo improprio dei decreti legge, vengono costituzionalizzati i limiti alla decretazione d’urgenza già previsti dalla legge ordinaria (legge 23 agosto 1988, n. 400). Il ricorso alla decretazione d’urgenza è escluso in alcune materie (ad esempio, la materia costituzionale ed elettorale e l’approvazione di bilanci e consuntivi). Viene sancito che i decreti legge devono contenere misure di immediata applicazione (senza rinvio quindi a provvedimenti attuativi), di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo del decreto. E’ poi preclusa l’introduzione nei disegni di legge di conversione dei decreti legge di disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto.

Queste disposizioni meritano un breve commento. L’istituto del voto a data certa viene considerato da alcuni osservatori uno strumento che attribuisce al Governo un potere eccessivo. La risposta dei sostenitori della riforma è che l’obiettivo è assicurare un esame rapido di alcuni disegni di legge fondamentali per l’efficacia dell’azione di governo senza ricorrere allo strumento del decreto legge. E’ piuttosto l’utilizzo improprio dei decreti legge e delle leggi di conversione a sollevare criticità per la qualità della legislazione e a tradursi spesso, attraverso il ricorso al voto di fiducia su maxiemendamenti, in una totale espropriazione del potere del Parlamento di partecipare alla formazione delle leggi. Per quanto riguarda le prerogative del Parlamento, nel caso del voto a data certa sono fissati i tempi per l’esame ma i poteri di rigettare o modificare il disegno di legge restano pieni. Il termine di settanta giorni, inoltre, è maggiore di quello di sessanta giorni previsto per la conversione dei decreti legge. Peraltro, per tutti gli ambiti in cui la competenza legislativa è esercitata collettivamente dalla Camera e dal Senato il ricorso all’istituto del voto a data certa è escluso.

6.4 Diritti delle minoranze parlamentari e statuto delle opposizioni

Per arginare eccessi di potere delle maggioranze parlamentari viene per la prima volta menzionata in Costituzione l’esigenza di tutelare i diritti delle minoranze parlamentari e adottare uno statuto delle opposizioni, anche se il compito viene demandato ai regolamenti parlamentari (che andranno comunque rivisti per adeguarli alle novità della riforma).

7. Revisione del Titolo V e ridisegno del regionalismo

La riforma prevede una serie di modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione, dedicato agli enti territoriali, di cui la principale è la revisione del riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni.

7.1 Riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni

L’attuale formulazione dell’articolo 117 della Costituzione è stata introdotta dalla riforma del 2001, che mirava a rafforzare il ruolo delle autonomie locali e introdurre meccanismi per la loro responsabilizzazione. Con questo obiettivo si è cercato di limitare, in ossequio al principio di sussidiarietà, la competenza legislativa dello Stato alle sole materie per cui questa è strettamente necessaria.

In base all’attuale articolo 117, vi sono alcune materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, altre materie attribuite alla cosiddetta competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni (lo Stato fissa i principi fondamentali e le Regioni le norme di dettaglio) e per tutte le materie non menzionate vi è la competenza legislativa esclusiva delle Regioni.

Nell’esperienza applicativa di questi anni la formulazione dell’articolo 117 si è rivelata insoddisfacente per due motivi.

Anzitutto, la competenza legislativa dello Stato è stata eccessivamente compressa in alcune materie che richiedono chiaramente una disciplina unitaria a livello nazionale.

Ad esempio, per le reti nazionali del trasporto, dell’energia e delle comunicazioni l’attuale sistema di competenza legislativa concorrente produce una regolazione ampiamente differenziata a livello regionale che crea inefficienze e costi ingiustificati, segmentando il mercato e pregiudicando l’attività economica e gli investimenti.

Inoltre, nelle materie a competenza legislativa concorrente la ripartizione dei ruoli tra lo Stato (che può fissare solo i principi fondamentali e non può adottare regolamenti) e le Regioni ha generato incertezze e prodotto un ampio contenzioso davanti alla Corte costituzionale.

Infine, a differenza di quanto previsto in altri ordinamenti, anche federali, l’attuale articolo 117 non contiene una clausola di salvaguardia che consenta ai poteri centrali di intervenire in materie di competenza regionale qualora lo richiedano gli interessi strategici del Paese (la cosiddetta ‘clausola di supremazia’).

Negli ultimi quindici anni la Corte costituzionale ha svolto un ruolo fondamentale per l’equilibrio del sistema, fornendo chiarimenti sull’interpretazione dell’articolo 117 e sancendo in particolare che alcuni degli ambiti materiali rientranti nella competenza dello Stato (ad esempio tutela dell’ambiente e tutela della concorrenza) attengono a valori trasversali che sono idonei a investire una pluralità di materie. Ma gli interventi interpretativi della Corte sono palesemente insufficienti a risolvere il problema. Si è diffusa quindi la convinzione che sia necessario modificare la formulazione dell’articolo 117.

La riforma costituzionale prevede una sostanziale riscrittura dell’articolo 117 sul riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.

E’ anzitutto prevista la soppressione della competenza concorrente nella quale lo Stato fissa i principi fondamentali e le Regioni le disposizioni di dettaglio. Le materie che erano di competenza concorrente sono state conseguentemente ridistribuite tra competenza esclusiva statale e competenza regionale. L’architettura del sistema risulta quindi composta solo da materie di competenza legislativa dello Stato e materie di competenza legislativa delle Regioni.

Alcune materie di competenza legislativa regionale sono espressamente indicate, diversamente da quanto avviene nel sistema attuale. Tra esse vi sono ad esempio: rappresentanza delle minoranze linguistiche; pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno; dotazione infrastrutturale; programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali; promozione dello sviluppo economico locale; organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese. Alle Regioni spetta, inoltre, la competenza legislativa residuale in tutte le eventuali materie non espressamente menzionate dall’articolo 117.

Il novero delle materie di competenza legislativa statale viene ampliato per coprire gli ambiti in cui la frammentazione legislativa a livello regionale è stata ritenuta controproducente. Tra gli ambiti in cui, se la riforma viene approvata, lo Stato avrà la competenza legislativa vi sono ad esempio: la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell’energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e le relative norme di sicurezza; i porti e aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale; il commercio con l’estero; l’adozione di disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali, per la sicurezza alimentare e sul turismo; la tutela e sicurezza del lavoro, le politiche attive del lavoro, l’ambiente e l’ecosistema (non solo tutela ma anche valorizzazione); il sistema nazionale e il coordinamento della protezione civile; il coordinamento dell’egovernment non solo riguardo ai dati, ma anche ai processi e alle infrastrutture e piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale e locale; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; l’adozione delle norme sui procedimenti amministrativi volte ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale.

Riportare allo Stato la competenza legislativa in tutte queste materie ha un importante impatto sia perché consente l’adozione di regole uniformi, e quindi di una politica nazionale in temi cruciali quali quelli delle grandi infrastrutture, sia perché incide sulla semplificazione e sulla velocizzazione dei procedimenti autorizzativi.

La riforma prevede inoltre l’introduzione della clausola di supremazia, che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie di competenza regionale quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale. Rispetto alla ridefinizione del riparto delle competenze legislative, i critici della riforma hanno sottolineato che anche con il nuovo testo dell’articolo 117 vi è spazio per interpretazioni difformi e quindi per un contenzioso davanti alla Corte costituzionale; il problema si pone in particolare in quegli ambiti in cui la riforma prevede che lo Stato abbia la competenza ad adottare disposizioni generali e comuni, mentre per il resto la competenza è delle Regioni. I sostenitori della riforma rispondono che comunque, dato l’aumento delle competenze legislative dello Stato, con il nuovo articolo 117 il rischio di contenzioso viene ridotto rispetto ad oggi, mentre l’attribuzione al Parlamento nazionale del potere di dettare disposizioni “comuni” gli attribuisce, in quelle materie, la facoltà di decidere discrezionalmente dove ricorrano esigenze di uniformità normativa, escludendo in radice il contenzioso.

7.2 Il potere di adottare regolamenti

L’attuale formulazione dell’articolo 117 comporta che non possono essere adottati regolamenti a livello statale né nelle materie di competenza legislativa regionale né in quelle di competenza legislativa concorrente.

Con la riforma, la potestà regolamentare segue la potestà legislativa: negli ambiti in cui lo Stato e le Regioni hanno la competenza legislativa possono anche adottare regolamenti, scegliendo quindi di volta in volta lo strumento normativo più appropriato. Resta la possibilità per lo Stato di delegare alle regioni la potestà regolamentare in specifici ambiti rientranti nella sua competenza legislativa.

7.3 Regioni a cui sono attribuiti maggiori spazi di autonomia

L’articolo 116 della Costituzione prevede che a certe condizioni singole Regioni possano ottenere ulteriori forme e condizioni di autonomia rispetto a quelle base previste per le regioni a statuto ordinario, sulla base di un’intesa tra lo Stato e la regione interessata (cosiddetto regionalismo differenziato).

Per rendere più facile il regionalismo differenziato la riforma prevede, a condizione che nella regione interessata vi sia un equilibrio di bilancio, che la legge che attribuisce l’autonomia differenziata sia approvata da entrambe le Camere senza più richiedere la maggioranza assoluta dei loro componenti.

Anche in conseguenza dell’eliminazione della categoria delle materie di competenza concorrente, viene ampliato nell’articolo 116 l’elenco delle materie per cui possono essere attribuite forme differenziate di autonomia, includendo, ad esempio, politiche sociali, politiche attive del lavoro e istruzione, commercio con l’estero, governo del territorio.

E’ presumibile che l’introduzione della clausola di supremazia consentirà di ricorrere più facilmente al riconoscimento di condizioni particolari di autonomia alle Regioni in grado di farne buon uso, poiché comunque Governo e Parlamento continueranno a disporre di uno strumento di tutela dell’unità nazionale.

7.4 Autonomia e gestione finanziaria degli enti territoriali

I principi fondamentali relativi all’autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti territoriali contenuti nell’articolo 119 della Costituzione restano immutati, salvo l’espresso richiamo alla necessità di rispettare quanto disposto dalle leggi dello Stato ai fini di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Per quanto riguarda l’esigenza che le risorse degli enti territoriali siano sufficienti a finanziare le funzioni pubbliche loro attribuite, viene rafforzato il linguaggio (il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali deve essere non solo consentito, ma assicurato); al tempo stesso, per garantire che non vi siano sprechi di risorse viene espressamente prevista in Costituzione la fissazione di indicatori di riferimento (benchmark) di costo e di fabbisogno volti a promuovere condizioni di efficienza nell’esercizio delle funzioni, facendo leva sulle esperienze concrete delle amministrazioni più virtuose.

Per assicurare la responsabilizzazione nella gestione finanziaria degli enti territoriali l’articolo 120 prevede che, con legge, siano stabiliti i casi di esclusione dall’esercizio delle funzioni per i titolari di organi di governo regionali o locali quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente.

7.5 Soppressione del riferimento costituzionale alle Province

La riforma cancella dalla Costituzione ogni riferimento alle Province.

Un processo di riforma volto a ridimensionare il ruolo delle Province semplificando l’assetto degli enti territoriali era stato già intrapreso con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cd. Legge Delrio).

Resta possibile affidare determinate funzioni amministrative a enti intermedi tra lo Stato e i Comuni, i cosiddetti “enti di area vasta”: questi non hanno però rilievo costituzionale. Ciò consente una maggiore flessibilità sia sul piano dell’organizzazione sia ai fini del contenimento dei costi.

7.6 Regioni a statuto speciale

La revisione del Titolo V non si applica nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano sino alla revisione dei rispettivi statuti9 . Questa scelta, compiuta in mancanza del consenso politico a una soluzione differente, comporta una netta scissione tra il quadro costituzionale per le Regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario e costituisce uno degli aspetti più deboli della riforma. Occorre affrontare seriamente la questione per evitare che, salvo un improbabile tempestivo adeguamento degli statuti, tutto venga rinviato a data indefinita.

8. Pubblica amministrazione e costi della politica

8.1 Trasparenza della pubblica amministrazione La riforma introduce la trasparenza tra i criteri generali che devono regolare l’organizzazione dei pubblici uffici (articolo 97). Viene specificato che le funzioni amministrative devono essere esercitate a tutti i livelli, dai Comuni allo Stato, in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa secondo criteri di efficienza e responsabilità degli amministratori (articolo 118).

8.2 CNEL

Viene abolito il CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), organo di consulenza delle Camere e del Governo composto di esperti e rappresentanti delle categorie produttive, in quanto i costi che comporta non sono giustificati da un’effettiva utilità dell’organismo.

8.3 Accorpamento dei servizi di Camera e Senato

Per assicurare una gestione più efficiente, con minori costi, è prevista l’integrazione funzionale della struttura amministrativa della Camera e del Senato, mediante l’istituzione di servizi comuni, l’utilizzo coordinato delle risorse umane e strumentali e una maggiore collaborazione. A tal fine è istituito un ruolo unico dei dipendenti del Parlamento.

9. I criteri per valutare la riforma

Nel dibattito prevalgono spesso motivazioni politiche di breve periodo – a sostegno o meno del governo in carica. Per le modifiche della Costituzione si deve adottare una prospettiva diversa, più lungimirante. La Costituzione fornisce il quadro istituzionale fondamentale per il funzionamento della democrazia, l’effettiva salvaguardia dei diritti dei cittadini, per lo sviluppo dell’impresa e per il lavoro.

A fronte della difficile situazione economica, della crisi europea, delle tensioni internazionali e delle nuove minacce alla sicurezza, occorre chiedersi se l’interesse dell’Italia sia meglio difeso mantenendo l’attuale testo della Costituzione (bicameralismo indifferenziato, frammentazione delle competenze legislative, oltre trecento senatori, riferimento alle Province in Costituzione, permanenza del CNEL) oppure dalla nuova legge costituzionale.

Sicuramente la riforma non è, da sola, sufficiente a risolvere tutti i problemi del Paese. Sicuramente alcune formulazioni avrebbero potuto essere più chiare. Sul piano 18 sostanziale, alcune scelte lasciano perplessi, tra esse certamente quella di non toccare le prerogative delle Regioni a statuto speciale nel riparto delle competenze legislative. Nel complesso, però, la riforma elimina alcune chiare inefficienze degli attuali assetti istituzionali che pregiudicano la capacità di decidere e contribuiscono alla sfiducia dei cittadini, aumenta la governabilità e consente un più efficace funzionamento delle istituzioni.

E’ indubbio che, nel caso in cui la riforma approvata dal Parlamento venisse bloccata dal referendum, per una nuova riforma della Costituzione basata su un testo diverso ci vorrebbero molti anni. La capacità del Paese di ripartire e affrontare le sfide contemporanee ne sarebbe indebolita.

Riferimenti ad alcuni contributi al dibattito
AA.VV., Focus riforma costituzionale, su www.federalismi.it
AA.VV., Dieci domande sulla riforma costituzionale, “Quaderni Costituzionali” n. 2/2016, 219-353 AA.VV., Si/no: un voto decisivo, “Il Mulino” n. 4/2016, 617-644
AA.VV., L’economia del Si: l’impatto del nuovo Titolo V sulle politiche economiche e sociali, di prossima pubblicazione
Astrid, Cambiare la Costituzione? Un dibattito tra i costituzionalisti sui pro e i contro della riforma, Maggioli, 2016
S. Cassese, Cinque domande sulla riforma della Costituzione, Note e studi Assonime n. 10/2016
G. Crainz – C. Fusaro, Aggiornare la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma, Donzelli, 2016 G. Zagrebelsky, Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali, Laterza, 2016

The original PDF version of this document, in Italian, can be downloaded here.

Most Popular

New Dell laptop

My new Dell 6400 pc turned up today.  It’s one of those wide-screen things, it has a hottish

Categories

Related Posts

Berlusconi Tightens His Grip

Italy’s regional election results are in. Silvio Berlusconi and his ally, Umberto Bossi have cause for celebration. Italy’s right led by inimitable Mr Media Berlusconi has claimed a victory which in times of hardship, and in the face of endless sleaze and corruption scandals, has surprised some in Italy.